La sorprendente misericordia di Dio

Predicazione su Luca 2, 1- 20

Predicazione tenuta dal prof. Emidio Campi presso la Zwinglikirche, Culto di Natale,  venerdì 25 dicembre 2020

Da decenni l’avvicinarsi del Natale suscitava in molti più malumori che gioia al pensiero del fastidioso frastuono della festa e delle convenzioni sociali collegate ad essa. Piazze e vie si riempivano di luccicanti luminarie, i negozi erano gremiti di folla e stipati con merce di ogni genere, mentre risuonavano musiche natalizie diventate stucchevoli. Questo particolare e imprevisto 2020 ha smorzato alquanto il frastuono della festa, anche se non ha fermato la pubblicità che identifica nelle merci il dono di Natale. La pandemia, con il corteo di isolamento e quarantena, ha un lato positivo. Concede, a chi lo voglia, di poter ritrovare, almeno in parte, il significato del Natale che sembrava irrimediabilmente perduto, preparandosi con la riflessione, la meditazione, la preghiera alla festa più umana della fede. Sì, perché Natale ci fa percepire nella maniera più profonda l’irrompere di Dio nell'esistenza umana per effondere su di noi la sua immensa grazia. Ci aiuta in questa riflessione un dipinto del Tintoretto (1518-1594), l’adorazione dei pastori. L’opera ha sempre colpito la mia immaginazione e mi ha coinvolto da quando si è scoperto che l’artista, oltre ad essere un assiduo lettore della Bibbia al punto da raffigurare la sua copia personale in un celebre dipinto, simpatizzava col pensiero della Riforma (1).

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Jacopo Tintoretto, Adorazione dei Pastori, (1578-1581)

La prima cosa che colpisce in quest’opera è che la scena si sviluppa su due diversi piani: al piano terra si trovano i pastori mentre al piano superiore c’è la Sacra Famiglia, collocata sotto il tetto di un fienile parzialmente crollato, attraverso il quale si intravvedono appena gli angeli che, secondo il racconto evangelico, annunziano ai pastori: “Pace in terra”.

Notiamo subito: presso la Sacra Famiglia, non ci sono i Re Magi vestiti di abiti sfarzosi ad omaggiare Gesù bambino con i famosi doni dell’oro, incenso e mirra, bensì due popolane sconosciute che porgono i doni che i compagni passano loro dal basso. Una di esse ha il seno scoperto, quasi ad indicare che è pronta ad allattarlo, se necessario. Maria, quasi timorosa e smarrita, si volge verso le due donne e sollevando un lembo della stoffa che protegge il fanciullino, il personaggio centrale della scena, lo mostra alle due occasionali visitatrici. Giuseppe, col volto disfatto dalla stanchezza e appoggiato sul suo bastone, osserva pensoso la scena, quasi sconsolato. Sotto ci sono i pastori con gli animali. Portano umili offerte, il poco che possiedono. Esprimono la fede dei poveri che, calpestati dalla storia, si affidano ad una speranza ultraterrena. Al tempo di Gesù infatti i pastori erano un gruppo sociale emarginato. Erano gente abbrutita, che viveva fuori nelle campagne a contatto con le bestie; erano mal pagati, trattati come schiavi, per cui vivevano di espedienti, furti, piccola criminalità. Erano disprezzati dai farisei, perché ritenuti impuri, peccatori, e quindi esclusi anche dalla vita religiosa ufficiale. Si direbbe quasi che gli angeli si siano sbagliati annunziando “Pace in terra”. Perché pace non c’era in Palestina in quei tempi. La Natività – come l’hanno vissuta i pastori (e nella raffigurazione del Tintoretto) - non deve essere stata una “notte benigna, notte tranquilla”, come recita un nostro vecchio inno. Che ci facevano Maria e Giuseppe in quel fienile scoperchiato di Betlemme? Trascorrevano una vacanza benessere? Se potessimo chiederglielo, ci direbbero che avevano dovuto andarvi perché i romani, la potenza occupante, avevano ordinato un censimento che aveva lo scopo di spillare ancora più soldi agli abitanti della regione occupata militarmente. E se potessimo interrogare i pastori su quali fossero i loro problemi quotidiani, ci direbbero probabilmente di essere schiacciati tra le angherie degli occupanti romani e il fanatismo religioso che andava impadronendosi delle masse contadine sobillate dagli zeloti. No, sorelle e fratelli, non sono gli angeli che si sono sbagliati. L’evangelista Luca – e con lui il Tintoretto –ha colto in pieno il messaggio del Natale. Per la fede cristiana Natale è la manifestazione più intuitiva che Dio non si è ritirato dal mondo, non si è chiuso in se stesso, ma è uscito da se stesso per entrare nel mondo. Dio ha fatto l’opposto di quello di solito facciamo noi, quando vogliamo avere pace. Si è immerso tra le onde delle tempeste umane per venire a salvare noi poveri peccatori. Quei pastori siamo noi! Siamo creature che hanno bisogno di Dio, che hanno bisogno di essere illuminate dall’alto e di cessare di essere ingannate dall’appello dei nostri più bassi istinti. Noi dobbiamo saperlo. Non possiamo nasconderlo, né a noi né agli altri. Non è confortevole, ma è vero e bisogna dirlo.

Sorelle e fratelli, queste considerazioni ci proiettano immediatamente nel nostro tempo. Ci accingiamo a vivere un Natale senza dubbio difficile e drammatico che ci mette tutti alla prova come credenti, come cittadini e cittadine, come comunità. Tra inquietudini che tolgono il respiro, ci affacciamo sul 2021 sperando timidamente che le cose possano cambiare. Alcuni ritengono che basterà smascherare le potenti forze politiche e finanziari celate dietro la pandemia, oppure deporre le amministrazioni incompetenti, quasi che l’emergenza Covid sia soltanto una breve parentesi da chiudere al più presto per ritornare al bel tempo passato. Altri auspicano che il Covid 19, con il suo corteo planetario di lutti e dolore, ci sproni almeno all’essenzialità, alla sobrietà, a ciò di cui abbiamo realmente bisogno e ci liberi dei tanti pesi inutili che ci trasciniamo dietro. Pur condividendo appieno questo nobile auspicio, come credenti possiamo sperare qualcosa di più: ritrovare il senso del Natale. Chiediamoci, almeno per un istante, se mai non potrebbe essere vera quella novella, tante volte udita e tante volte dimenticata che Dio a Natale ha toccato il nostro mondo! In questo anno che volge al termine, abbiamo visto tante cose irreali, che ci sembravano impossibili. Perché fra tante cattive novelle non potrebbe esservene una buona, quella della venuta del Figlio di Dio in mezzo al nostro dolore? Perché sulla nostra via segnata da tante sciagure, in un momento in cui sentiamo di essere ammalati non solo fisicamente ma moralmente, non potrebbe l’ospite divino fare ancora sentire la sua voce:

«Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia"».

Questo messaggio fu annunziato ai pastori di Betlemme, ma riguarda ogni creatura, riguarda anche noi oggi. Natale vuole parlare a tutte e tutti coloro che hanno lo spirito denso di preoccupazioni per il domani e cercano una via d’uscita. Perché ci dice che il Signore viene, nonostante tutte le nostre incertezze. Il Signore viene veramente a cercare e salvare quello che è perduto. Viene nell’umiltà, che gli serve da velo, di un fanciullo avvolto in fasce! Viene in noi che abbiamo tentato le vie della grandezza e queste ci hanno portato nel baratro; abbiamo provato la via dell’orgoglio e siamo stati abbattuti; abbiamo provato le vie della solitudine e siamo rimasti sgomenti. Viene nel deserto dei nostri cuori inariditi, dei nostri fallimenti, delle nostre presunte giustizie! Viene nel vuoto incolmabile dei nostri lutti e anche nella morte non siamo abbandonati al destino, ma avvolti dalla sua misericordia! Non è questo motivo di meraviglioso conforto e fiducia? Certo, è vero che dopo il primo Natale la vita sembrava apparentemente immutata: il bue l’asino continuarono a mangiare il loro fieno. I pastori continuarono a pascere le loro pecore; le legioni romane continuarono ad occupare la Palestina e a dissanguarla con pesanti tasse. E, purtroppo, è vero, non possiamo negarlo: la crisi sanitaria che stiamo vivendo in questo Natale 2020 rischia molto di lasciare tutto come era prima. Ma qualcosa di nuovo, totalmente nuovo, è penetrato nel mondo. Per quanto difficile sia credere a quella venuta, non si può cancellare la traccia che ha lasciato. A Natale ci è fatta balenare non una qualsiasi formula umana per guarire il nostro mondo, ci è annunziato il disegno di grazia di Dio per tutta l’umanità. Non è più il tempo delle contrapposizioni meccaniche tra progressisti e conservatori, laici e credenti. È chiaro che la crisi del coronavirus è destinata a mutare a fondo alcuni elementi fondamentali della società e chiama tutti, davvero tutti, ad una trasformazione del nostro modo di vivere. Il momento che stiamo vivendo riporta inevitabilmente di attualità il problema del ravvedimento, della trasformazione delle coscienze, come momento ineliminabile di qualsiasi cambiamento sociale e civile. È una illusione, una fanciullesca illusione pretendere di uscire dalla crisi in cui ci troviamo solo con una serie di sforzi economici, tecnici e scientifici, senza passare attraverso la prova spirituale del ravvedimento, senza che ogni giorno non diventi l’occasione di affermare in parole e azioni che l’evangelo del Natale non è messaggio di conservazione dell’esistente, ma è il lievito che fermenta la pasta, il granel di senape che prepara l’albero di domani; è la forza che plasma uomini e donne nuove per il mondo di domani.

Sorelle e fratelli miei, forse nel passato ci siamo mossi da un Natale all’altro, senza chiederci quanta strada abbiamo fatto per crescere come vere figlie e figli di Dio. Forse, un Natale dopo l’altro, abbiamo semplicemente smesso di porci la questione. Ma quello che è stato non deve necessariamente continuare ad essere, se la luce di Natale penetra davvero nel nostro spirito, se lasciamo davvero che operi in noi. Perciò il modo migliore per celebrare questo giorno di Natale 2020 sarebbe di riunirci intorno alla mensa del Signore e invocare che egli venga in mezzo a noi e ci trasformi con la sua presenza. Purtroppo, non possiamo farlo, a motivo delle ben note restrizioni anti Covid. Chiediamo allora in preghiera al Signore almeno questo: perdona o Signore, le mie colpe e aiutami a perdonare al mio prossimo; fa o Signore che non agisca secondo la mentalità umana corrente, ma come il fanciullino di Betlemme e il crocifisso del Golgota, Fa o Signore che non mi rinchiuda in me stesso, ma sia aperto e disponibile per l’altro. Fa o Signore che tale annunzio non risuoni soltanto nel chiuso delle chiese, ma riguardi la città, la società in cui vivo.

E allora Natale perderà buona parte del suo sentimentalismo, diventerà un programma di vita ispirato dalla sorprendente misericordia di Dio, un impegnativo quanto avvincente programma di vita che potremmo racchiudere in una frase: FACCIAMO COME DIO, DIVENTIAMO UMANI. E voglia Iddio darci la forza necessaria di assolverlo.

Amen

(1) La Bibbia che leggeva era quella tradotta dal domenicano Santi Marmochino, La Bibia nuovamente tradotta dalla hebraica verita in lingua thoscana (Venezia, eredi di L. Giunti, 1538, ristampata nel 1545 con una seconda edizione l’anno successivo), con commentari indubbiamente eterodossi. La rappresentò poggiata sul basamento del sarcofago nell’Assunta della chiesa parrocchiale di Bamberg, in Baviera, Germania. Cfr. Susanne Fritz, Religion im Werk Tintorettos; Roland Krischel (ed.), Tintoretto: A Star Was Born, München: Hirmer, 2017.

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