La spada della Parola

Meditazione su Matteo 10, 34-37

Meditazione del prof. Emidio Campi presso la Zwinglikirche in occasione della Festa della Riforma, domenica 1 novembre 2020.

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Il Cristo dell’Apocalisse, Parigi- Sainte-Chapelle, XV sec.

 

"Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettere pace, ma spada. Perché sono venuto a mettere l’uomo contro suo padre, la figlia contro sua madre e la nuora contro sua suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me". (Matteo 10, 34-37)

Nel brano del vangelo di Matteo indicato dal nostro lezionario per questa domenica Gesù dice: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: non sono venuto a metter pace, ma spada». A queste parole sorprendenti, ne seguono altre ancora più singolari: «sono venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora dalla suocera» (Mt 10,35). Le due affermazioni appaiono, a prima vista, dure e incompatibili con altri detti di Gesù, quando per esempio, all’inizio del suo ministero invitava i discepoli a non contrastare ai malvagi, anzi a porgere l’altra guancia a chi li schiaffeggiava (Mt 5, 39), o quando nel Getsemani al discepolo pronto a colpire con una spada un servo del sommo sacerdote dirà: «Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada periscono di spada» (Mt 26, 52).

È evidente che queste parole di Gesù, sono da interpretare in chiave figurata e non letterale. La spada di cui egli parla non è la spada del guerriero, né quella della giustizia, rappresentata spesso come una donna bendata con la bilancia in una mano e la spada nell’altra. E allora che spada è? Per capirlo occorre ricordare che la Bibbia non di rado usa il simbolo della spada per raffigurare la forza incisiva che la parola di Dio ha in sé e dispiega nella storia dell’umanità. La lettera agli Ebrei afferma: «la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito» (Ebr 4,12). Il libro dell’Apocalisse presenta una suggestiva immagine di Cristo con in bocca «una spada affilata, a doppio taglio» (Apoc 1,16; 19,11), ripresa mirabilmente nel rosone della Sainte-Chapelle di Parigi. Bastano già questi testi per capire che la spada di cui parla Gesù è la spada della Parola.

1. Gesù non ha altra spada che la parola di Dio. Con quell’unica arma ha resistito alla tentazione del diavolo, ha cacciato i demoni, ha consolato, ha guarito, ha esortato, ha perdonato, ha risuscitato: tutto con la Parola, nulla senza la Parola! Se si vuole variare la metafora usando una terminologia moderna potremmo dire che la parola di Dio è come un bisturi o un raggio laser che affonda nella carne fino alle giunture attraversando perfino le ossa per cogliere il midollo. Cioè è una Parola che incide sulla vita come una ferita da intervento chirurgico. Così noi tutti che abbiamo ascoltato la parola di Dio e un po’ lottato con essa, portiamo su di noi una cicatrice, una cicatrice benedetta, perché vuol dire che la parola di Dio ha scalfito la dura corazza della nostra incredulità.

Ben lo sapevano i Riformatori. «Io non ho fatto niente, la Parola ha fatto tutto – diceva Lutero con un pizzico di malizia – e, mentre dormivo e bevevo la buona birra di Wittenberg assieme al mio Filippo [Melantone] e al mio Alsdorf, la Parola ha inferto il colpo decisivo». Gli faceva eco Zwingli, affermando: «Dobbiamo tenere nel più alto onore la parola di Dio e ad essa soltanto prestare fede. Poiché la parola di Dio è certa, e non può venire meno. Essa è chiara e non lascia errare nelle tenebre; esse istruisce e si spiega da sé stessa. Solleva ed illumina l’anima umana di ogni salvezza e grazia e la rende fiduciosa in Dio, la rende umile, affinché dapprima si senta perduta, anzi annichilita, e poi possa accogliere in sé Dio».

In realtà, la Riforma è stata un po’più di una tempesta in un boccale di birra. Ha scosso l’Europa del Cinquecento, ha rovesciato regni, è stata una rivoluzione teologica e ecclesiologica e al tempo stesso ha dato l’avvio ad una serie di rinnovamenti culturali, politici, sociali e perfino economici, non sempre esenti da venali interessi umani. Inoltre, non si può tacere che l’ortodossia protestante dei secoli successivi si preoccupò, per motivi apologetici, di sottolineare così tanto la chiarezza, sufficienza e infallibilità della Scrittura da trasformarla in una sorta di codice comprensivo di tutte le norme pertinenti alla salvezza, valido di per sé, al di fuori dell’opera dello Spirito santo. Tuttavia, questa fiducia incrollabile nella parola di Dio trasmessa attraverso la Scrittura è uno dei caratteri distintivi della Riforma protestante. L’applicazione costante, sistematica, consapevole del principio scritturale nel dirimere questioni teologiche, ecclesiologiche, etiche, senza dover sottostare a un magistero ecclesiastico superiore e infallibile, è divenuta in tal modo il marchio indelebile del protestantesimo.

2. Il nostro testo prosegue riportando un’altra affermazione di Gesù: «sono venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora dalla suocera». Queste parole, a differenza delle precedenti, sono da intendere non in senso metaforico ma letterale. È come se Gesù dicesse: La parola di Dio, è un messaggio che divide. Che cosa divide la parola di Dio? Divide anzitutto chi l’ascolta da chi non l’ascolta. Poi divide chi l’ascolta e la mette in pratica da chi l’ascolta e non la mette in pratica. Inoltre, la parola di Dio divide non solo tra le persone, ma mette in discussione gli schemi tradizionali, turba le comode abitudini, rompe la pace fondata sull’indifferenza, esige delle scelte difficili. Questa è stata anche l’esperienza della Riforma. Fin dagli inizi, il riferimento alla Scrittura non fu né semplice né pacifico. Thomas Müntzer chiamava Lutero “Dottor Menzogna”, perché non condivideva il suo modo di interpretare la Bibbia. Zwingli concordava con Lutero nel ripudiare la messa come sacrificio, ma respingeva nettamente l’idea di una presenza reale di Cristo nell’eucaristia in termini di ubiquità del corpo glorificato di Cristo. E proprio mentre i due si scontravano con tanto accanimento da provocare la lacerazione del moto riformatore, nel contempo dovettero confrontarsi con gli anabattisti che li attaccavano sulla questione del battesimo dei fanciulli adducendo argomenti biblici. A Ginevra Miguel Serveto fece altrettanto con Calvino essendo convinto che le sue opinioni antitrinitarie fossero molto più fondate sulla Bibbia di quelle del riformatore ginevrino. La Scrittura divenne il pomo della discordia soprattutto tra cattolici e protestanti, perché ognuno la interpretava a modo suo. Lo spiega bene Calvino con la sua solita chiarezza: «Qual è la causa principale che genera turbamento nella cristianità di oggi? Noi chiediamo che non vengano accolte dottrine forgiate dagli uomini, bensì che la chiesa sia sottomessa alla parola di Dio, e che la Scrittura sia riconosciuta, l’unica perfetta dottrina cui deve ispirarsi tutta la nostra vita». Come sappiamo, questa richiesta non fu accolta dalla Chiesa romana. Il Concilio di Trento, ponendo accanto alla autorità della Scrittura le «tradizioni della chiesa inerenti alla fede e ai costumi», scavò un fossato invalicabile tra cattolicesimo e protestantesimo. Un trauma doloroso, ma al tempo stesso un segno che la parola di Dio divide davvero. Occorreranno cinque secoli per cominciare a riprendersi da esso.

3. Tuttavia, la Parola che ferisce è anche la Parola che guarisce: «Venite, torniamo al Signore, perché egli ha strappato, ma ci guarirà, ha percosso, ma ci fascerà» (Osea 6,1). L’ultima parola non è la divisione, ma l’unità. C’è nel Vangelo di Giovanni una parola di Gesù fondamentale per la nostra fede e la nostra predicazione: «Io quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). C’è un tempo per dividere e un tempo per unire. Cristo divide, Cristo unisce. Prima divide, poi unisce. La divisione religiosa prodottasi con la Riforma portò a una contrapposizione violenta tra i cattolici e protestanti. Dalla metà del Cinquecento sino alla metà del Seicento in varie parti d'Europa si svolse una serie di conflitti più o meno sanguinosi e prolungati, le cosiddette guerre di religione. Nell’Impero germanico la pace di Augusta del 1555 sancì la permanente divisione in stati cattolici e protestanti, sulla base del principio cuius regio eius religio: la religione del principe doveva essere quella dei sudditi, i quali avevano solo la scelta tra conformarsi o emigrare. La Francia fu lacerata da un quarantennio di guerre religiose punteggiate da efferati massacri, di cui il più noto è la «Notte di San Bartolomeo» del 23-24 agosto 1572, che fece migliaia di morti nella capitale e nel resto del paese. Nei Paesi Bassi, le Province Unite, la cui popolazione era di fede riformata, insorsero contro la Spagna e si resero indipendenti nel corso di una lunga guerra, iniziata nel 1565 e terminata ottanta anni dopo. Per trent’anni, dal 1618 al 1648, in Europa gli odi confessionali inflissero torture e sempre nuovi orrori alle popolazioni del vecchio continente riducendolo allo stremo delle sue risorse finanziarie e demografiche, facendolo precipitare nella barbarie. Si pensi, per fare qualche nome, al «sacro macello» in Valtellina nel 1620, al «sacco di Mantova» del 1630, al «sacco di Magdeburgo» del 1631 e all’eccidio dei valdesi nelle loro valli, le cosiddette «Pasque piemontesi» del 1655. Dopo secoli di conflitto, separazione e condanne reciproche, molto è stato svolto dalle confessioni cristiane, sia separatamente sia insieme, per mettere in evidenza l’essenziale del messaggio cristiano e per liberarlo dagli elementi non teologici che lo hanno appesantito nel corso della storia. Grazie al lavoro silenzioso ed alla collaborazione fruttuosa all’interno del movimento ecumenico, cattolici e protestanti con la «Dichiarazione congiunta sulla giustificazione per fede» del 1999 hanno affermato che «sono ormai in grado di enunciare una comprensione comune della nostra giustificazione operata dalla grazia di Dio per mezzo della fede in Cristo».

Alla base di questa comprensione comune vi è stata la svolta decisiva della riscoperta della Bibbia e dell’urgenza che essa pone sulle chiese cristiane di operare per l’unità del corpo di Cristo. Questo aspetto è stato colto molto bene dall’ attuale pontefice nel corso della predicazione tenuta nella cattedrale luterana di Lund il 31 ottobre 2016, alla vigilia della commemorazione del quinto centenario della Riforma protestante. Ne cito un passo particolarmente significativo, per altro non isolato nel magistero di papa Francesco: «Con gratitudine riconosciamo che la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Attraverso l’ascolto comune della Parola di Dio nelle Scritture, il dialogo tra noi ha compiuto passi importanti. Chiediamo al Signore che la sua Parola ci mantenga uniti, perché essa è fonte di nutrimento e di vita; senza la sua ispirazione non possiamo fare nulla». Le parole del pontefice sono impegnative ed aprono una nuova stagione nel cammino per la costruzione dell’unità visibile della Chiesa con la quale mettere fine allo scandalo delle divisioni. Certo non sarebbe realistico fingere di non vedere quali e quanti gravi ostacoli vi siano ancora sulla via della unità o quanto labirintica appaia ancora oggi la situazione dell’ecumenismo. Ma un seme è stato gettato e non potrà non crescere, sia pure in mezzo ad ancora chissà quante tribolazioni. È nel nome di questa speranza che vorrei chiudere questa riflessione sul significato della Riforma in quest’anno così difficile, affinché ci stimoli nei compiti che ci attendono nel futuro. Chiediamo quindi in preghiera al Signore che la parola di Dio purifichi gli uni e gli altri, ci liberi dal nostro orgoglio spirituale, dalla volontà di potenza, dalle segrete compromissioni col mondo e ci faccia risorgere in una nuova cattolicità comprendente tutto ciò che di vivo e vitale è sorto sul tronco bimillenario della fede cristiana. E questa sarà la vera festa della Riforma.

Amen

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