Perché andare al culto?

Predicazione tenuta dal prof. Emidio Campi presso la Zwinglikirche, domenica 23 giugno 2019.

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Care sorelle e fratelli,

venerdì sono stato a trovare un membro di chiesa che aveva chiesto un colloquio. Abbiamo parlato della solitudine e di come vincerla. Gli dicevo che se c’è una fede che può essere professata nella solitudine è la nostra. Noi evangelici non abbiamo bisogno di cerimonie o riti religiosi particolari, tantomeno di guide spirituali. Abbiamo la Bibbia, abbiamo la preghiera, strumenti eccellenti della vita della fede, i più sicuri per entrare in comunione con Dio. Con un sorriso dubbioso, mi ha fatto garbatamente notare: “certo, però la solitudine a volte ti fa perdere la voglia di leggere la Bibbia, di pregare, di sfogliare la circolare della chiesa”. Ed ha continuato: “sai, è come con il cibo: si può mangiare anche da soli, ma in compagnia si mangia meglio e più volentieri”.

Dopo di che, è andato diritto al nocciolo della questione per cui aveva chiesto l’incontro. Guardandomi fisso in faccia, dice: “mi mancano i culti; nella casa di riposo dove vivo ho provato ad andare alla messa, perché pensavo di trovare quello che cercavo”. Mi chiede se ha fatto bene. Gli rispondo di sì, perché c’è sempre qualcosa da imparare dall’evangelo. Ma lui scuote il capo e poi dopo un attimo di silenzio aggiunge: “non è la stessa cosa. Mi manca la nostra piccola assemblea, raccolta intorno al tavolo ad ascoltare la spiegazione della parola di Dio, la S. Cena, il canto degli inni, la confessione di peccato e l’annunzio del perdono, la benedizione. Tutte queste cose per me erano come un cibo che mi nutriva per una settimana, fino al prossimo culto.”

Il colloquio con nostro fratello mi ha colpito. Ero andato per consolare, e sono stato consolato dalla sua fede. Ritornando a casa rimuginavo sulle sue parole, al punto che ho dovuto rivedere e ricalibrare il testo della predicazione di questa mattina.

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Chiediamoci: cosa è per noi un culto? Per quale motivo ci riuniamo? La domanda può sembrare forse irriguardosa, ma permettermi di porla con franchezza. Che beneficio ricaviamo da queste nostre piccole assemblee domenicali, composte di poche persone – talvolta appena una decina – venute da lontano, al prezzo di notevoli fatiche e spese? Oppure, detto diversamente: cosa perdono coloro che non partecipano ad un culto? Un momento di comunione fraterna, un ristoro spirituale, una esperienza formativa?

Questo è vero, o meglio è una mezza verità. È vero, per esempio, che per noi che viviamo così dispersi il culto è il mezzo più agevole di comunione fraterna, l’esperienza più preziosa per combattere la solitudine, superare le differenze di età e di interessi. Ed è altrettanto vero che quando ci raccogliamo in preghiera, o eleviamo il nostro canto, oppure in un silenzio pieno di intimità confessiamo al Signore il nostro peccato viviamo un momento di intensa spiritualità.  E non v’è alcun dubbio che la lettura e la spiegazione accurata della Scrittura rappresentino una notevole esperienza formativa. Inoltre, un culto, anche il nostro sobrio culto riformato, ha una dimensione estetica, la musica d’organo, la corale – che purtroppo non abbiamo, per il momento! – ci aprono nuovi orizzonti musicali.

Si potrebbero elencare altri effetti benefici di un culto. Ma questo non ci porta al cuore della questione: cosa è un culto e perché andare al culto? Sono ben note le obbiezioni di coloro che ritengono di non parteciparvi: “Ho un mio rapporto personale con Dio, il resto non mi interessa”. Oppure: “Quello che offre un culto posso ottenerlo anche altrove: il calore del’ amicizia lo posso trovare in un’associazione; la conoscenza biblica la posso approfondire leggendo la Scrittura per conto proprio; pregare e cantare degli inni posso farlo anche a casa, guardando il culto in diretta televisiva o in differita da qualunque dispositivo elettronico; un’esperienza spirituale può essere vissuta anche contemplando la natura durante una passeggiata in montagna.

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Perché dunque andare al culto? Ci sono altri motivi per cui dovremmo andare al culto? C’è qualcosa che avviene solo nel culto e non altrove? Qualcosa che sfugge alle domande e risposte precedenti? Sì! E questo che vorrei tentare di raccontare, e badate bene, non di mostrare, perché quello che sto per dire non possiamo vederlo, ma forse non dobbiamo neanche vederlo, bensì percepirlo spiritualmente.

Le riunioni domenicali, a volte ben frequentate, ma per lo più composte da poche persone, gli incontri che chiamiamo culti, sono una sorta di squarcio di eternità che entra nella nostra realtà terrena. Sono momenti in cui Dio entra nel mondo, come un vento dolce che passa, non lo vedi con gli occhi, ma lo senti, come una melodia soave, di cui ti giunge il suono, che ti scuote e ti invita a cantarla. Sono momenti in cui si rinnova il miracolo di Natale della Parola eterna che si fa carne. Sono momenti che offrono ad ognuno di noi l’occasione e la spinta per guardare dentro la nostra storia e trovare con l’aiuto dello Spirito del Signore lo squarcio di eternità. Sono luoghi dove il Regno di Dio comincia già qui e ora e senti che ogni attimo della tua vita è carico di eternità.

Affermazioni audaci, qualcuno dirà. Certo, ma plausibili, perché il culto non è una "invenzione" umana, ma un atto in cui si adempie la promessa di Dio: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Dove i discepoli e le discepole di Cristo consapevoli di rappresentare il corpo di Cristo si riuniscono nel suo nome, c'è certamente anche il Capo con loro. Egli è presente attraverso la parola che lo proclama, ed è presente attraverso lo Spirito che lo testimonia. Dove i cristiani celebrano il battesimo, Cristo è presente, dove i cristiani celebrano la S. Cena, Cristo è presente. In breve, il culto è il luogo della presenza salvifica di Dio.

Non solo quando la predicazione è ben curata e la comunità è ricettiva all’ascolto, magari nell’atmosfera intima e raccolta di una bella chiesa, ma sempre e ovunque. La presenza salvifica di Dio non si basa né sulla "qualità" di chi predica, né sulla "dignità" del luogo, ma solo sulla promessa di Dio. Egli ha promesso di rivolgersi a noi e di offrirci la sua salvezza quando lo cerchiamo dove vuole essere trovato, cioè nell’ assemblea dei credenti. Il Signore è in mezzo a noi quando ci raccogliamo intorno alla sua Parola, quando ci rivolgiamo a lui in preghiera, quando eleviamo a lui i nostri canti di lode, quando celebriamo i sacramenti che Lui ha istituito, quando camminiamo nell’amore, come ci ha indicato.

Se Cristo è "lì", nei nostri culti, allora anche il regno di Dio è "lì". E chi mangia e beve alla mensa del Signore durante la Cena del Signore pregusta, sia pure in modo spirituale, la gioia del grande banchetto del regno di Dio. La predicazione, i sacramenti sono porte attraverso le quali la realtà soprannaturale del regno di Dio irrompe nella nostra realtà spazio-temporale terrena. I culti sono come delle passerelle che congiungono cielo e terra. Ogni qualvolta celebriamo un culto noi partecipiamo non solo alla comunione con tutta la Chiesa passata e presente sparsa nel mondo, ma alla comunione della Chiesa futura, quella che essa potrà essere un giorno, quando sarà purificata dai suoi errori e riunita in una sola fede, e in una sola carità.

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Mie care e sorelle e fratelli. Questo può avvenire solo in un culto, nell’assemblea dei credenti riuniti nel nome di Gesù, non nella propria cameretta. È un’esperienza che non si può fare da soli. Perché soltanto nel culto ci può essere annunziato il perdono dei nostri peccati, soltanto nella comunità si può contrastare la nostra naturale tendenza a seguire il secolo e imparare a compiere la volontà del Signore.

La breve ora che trascorriamo insieme la domenica mattina è molto più che una esperienza spirituale, un momento di fraternità, una consuetudine. È un evento di salvezza, in cui Dio ha promesso d’incontrarci. Nel culto si rinnova la l’esperienza più calda e più benefica che ci sia offerta nella nostra solitudine: stare alla presenza del nostro di Dio.

Chiunque abbia fatto nella sua vita questa esperienza non ha bisogno di ulteriori motivi per partecipare al culto. Non ha bisogno di altre spiegazioni o inviti. Sarebbe come voler spiegare a due persone che si amano e si desiderano, quali sono i vantaggi dello stare insieme.

Chiediamo a Dio di affinare tutti i sensi che possediamo per percepire i benefici derivanti dalla partecipazione al culto. In primo luogo, chiediamolo al Signore per coloro che non vengono o non possono partecipare. Ma anche per quelli che vengono. Perché, per quanto vero possa essere quello che abbiamo detto sulla presenza di Dio nel culto, rimane una promessa e non un possesso, sebbene la più certa e la più benefica.

Che Dio ascolti la nostra preghiera. E ci insegni a sentire ancora più profondamente ciò che canteremo nel nostro inno: “O quanto la tua casa, m’è dolce o mio Signore, tutta di Te pervasa, tutta spirante amor. L’anima mia felice apresi in essa a Te, i suoi pensier Ti dice, mostrasi a Te qual è. Ode la tua parola, fonte di verità, si tempra si consola, sente la tua bontà” (Innario cristiano, 157).

Amen

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